I NOSTRI GENITORI

Criterios sobre aspectos varios de la vida

ALLE RADICI DELL’ALBERO (ii)

I NOSTRI GENITORI

Rina ed Achille si conobbero in un piccolo paese del Trentino, Serrada di Folgaria, nel 1935 circa.
Lui si recava in vacanza nella casa del fratello Sandro, che aveva scelto quel luogo tranquillo come ‘beun retiro’ dopo una vita intensa e turbolenta.
Rina lavorava attivamente nell’albergo di famiglia ed era attorniata da vari pretendenti, essendo di bell’aspetto, di carattere mite, grande lavoratrice fin da piccola.
Subito si innamorarono e dovettero superare le difficoltà della separazione data da lunghi mesi di lavoro di Achille in Etiopia ed Abissinia per una grande azienda vicentina.
Mentre lui viveva sull’altipiano etiope e dormiva sotto una tenda, lei rimaneva in famiglia e preparava le nozze che avvennero per procura nel 1938.
Era già pronto un baule di legno con tutto il necessario per il viaggio con il quale lei lo avrebbe raggiunto, quando i venti di guerra cominciarono a soffiare.
In un viaggio faticoso Achille rientrò in Italia con l’ultimo piroscafo sicuro che lasciava l’Africa e raggiunse finalmente la sua sposa.
Dopo pochi mesi furono nuovamente costretti a separarsi per il richiamo alle armi di lui.
Passò tre anni in guerra, in Grecia ed in Albania, un periodo durissimo che ha segnato in modo indelebile chi lo ha vissuto.

Solamente in vecchiaia, nella solitudine della vedovanza Achille ha ripreso a parlare di quei tempi terribili al fronte.
Con ricordi vividi, intensi di persone, luoghi, immagini che avevano segnato per sempre la sua memoria, si lasciava andare al racconto.
Ammetto che solo dopo quel riemergere dei ricordi e quei miei attenti e silenziosi momenti di ascolto ho potuto veramente comprendere la grandezza morale ed umana di nostro padre.
Il suo coraggio, il valore della parola data, l’onore del soldato, il rispetto dei commilitoni, l’amore per la Patria, la capacità di sopravvivere nei momenti estremi, guidato da intuito ed intelligenza e dal desiderio di rivedere la sua Rina ed il piccolo Giorgio nato nel 1940.

Fu solamente dopo l’armistizio del settembre 1943 che Achille e Rina cominciarono a vivere insieme a Serrada, mentre lui insegnava matematica alle scuole medie e lei lavorava in albergo.
Nel 1944 nacque Mauro e nel 1949 Giampaolo.

Rina ed Achille al contrario non litigavano mai specialmente di fronte ai figli; come coppia avevano un continuo accordo tacito, per il quale si sostenevano sempre a vicenda, non si smentivano l’un l’altro, in una sorta di complicità sorprendente.
Probabilmente avranno discusso tra loro in disparte, la notte che talvolta li ritrovava insonni per le preoccupazioni del crescere quattro figli in tempi grami.
In particolare a livello delle scelte ed orientamento educativo Rina ed Achille erano completamente in sintonia abituando con determinazione i figli ad essere capaci di sostenere le prove, responsabili, onesti, sinceri, puntuali, razionali, efficienti.

Infine eravamo incuriositi da:“ tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino”. Questo detto sbocciava sulle labbra della mamma quando trovava briciole di cioccolata in giro, o crostine di formaggio di cui eravamo ghiotti. Capitava che senza farci vedere andassimo a mangiare rubacchiando fuori pasto.
Lei con intuizione trovava sempre il colpevole, ma era quasi compiaciuta di vederci apprezzare il buon cibo.
Rina era un’ottima cuoca, sapeva cucinare tutte le specialità trentine e lombarde, avendo avuto un’ottima scuola nell’albergo di famiglia ed era orgogliosa di saper stimolare il piacere di mangiar bene.

Anche Achille ricorreva ai proverbi ma in dialetto milanese, che lui conosceva bene, ed usava solo per citare i detti popolari:

Talvolta ci sentivamo dire: “va a ciapáa i ratt” che risultava impresa improba, essendo impossibile trasformarci in acchiappa topi e che in realtà voleva dire: va a quel paese.
“Muchela” era l’ordine perentorio che ci indicava di farla finita con un capriccio, una lite, un lamento.
Il carattere di Achille era forte, intransigente, volitivo.
Aveva sviluppato grande capacità di autocontrollo e lavorava in modo continuativo sette giorni su sette, tenendosi solo la domenica pomeriggio come momento di riposo
Credo che l’ esempio di dedizione alla propria professione abbia segnato profondamente i figli, i collaboratori ed i clienti di nostro padre. Alcuni fra di loro lo consideravano come sola guida e consigliere fidato dei loro affari. Qualcuno dei clienti aveva per lui un amore filiale.
La passione e la dedizione alla propria professione di commercialista era palpabile e sorprendente, fino ad oltre gli ottanta anni Achille ha lavorato con impegno, rabbia, apprensione, lasciando in tutti un ricordo indelebile.

Resta da dire che Rina ed Achille si sono amati e rispettati sempre e per tutta la vita; il dolore più angoscioso che lui abbia patito è stato il lungo lutto per la morte di lei nel 1996.
Da allora ripeteva spesso una frase non abituale per un uomo che si era fatto da sé, senza aiuti di nessuno, se non con l’appoggio e l’amore della sua sposa.
Uomo sicuro delle proprie capacità e del proprio valore, credente, non praticante iniziò a ripetere a se stesso e a me: “ora sono nelle mani di Dio”.
Lui l’ha raggiunta nel settembre del 2008, con sollievo.